DARONOT: UNA STORIA LEGGENDARIA
Molti secoli or sono, prima del Rinascimento, prima ancora del Medioevo, esisteva una piccola dimora, la cui leggenda era conosciuta in tutti i regni.
Se non si considerava la forma tondeggiante, o quell’insolita aria lugubre, quella casa sarebbe risultata normale agli occhi dei più. Certo, il fatto che dominasse la collina che si affacciava sul fiume la rendeva affascinante, soprattutto in primavera, ma restava pur sempre una casa disabitata, o almeno lo sembrava.
Era trascurata: il tetto era divelto e la selva si stava impossessando di lei. Eppure, nelle notti più silenziosi, si poteva udire l’eco di una voce maschile che, da dentro la catapecchia, ansimava: «Ho bisogno di una nuova dimora!»
Per i più scettici, quello era nulla di più che il rumore del vento che s’incanalava tra le assi marce. Ma per chi credeva negli spiriti, era il lamento di Daronot, il custode della collina.
Quel pensiero popolare incuriosì molti forestieri, che facevano lunghi pellegrinaggi per omaggiare Daronot e la sua abitazione con fiori freschi, lettere e preghiere.
La cosa andò avanti per molti decenni, finché il vescovo del paese, invidioso della popolarità di Daronot, non minacciò i suoi fedeli.
«State lontani da quella tonda dimora. Mancate di farlo e l’inferno si nutrirà delle vostre anime!»
Furono quelle parole che spinsero i pellegrini a temere quel custode, e in meno di tre anni, la missione del vescovo si compì: Daronot diventò nulla di più che una favola da raccontare ai fanciulli, e la sua casa, inghiottita dalla natura, venne dimenticata.
Dovettero passare tre secoli prima che il piccolo alloggio circolare venisse ritrovata, e a farlo fu un quindicenne sognatore appassionato e di arte.
Si era appena trasferito insieme alla sua famiglia da un paese limitrofo, e non conosceva nulla di quel luogo, nemmeno la leggenda che aleggiava attorno alla collina su cui stava passeggiando. Se non fosse stato così, di certo avrebbe riconosciuto quel rudere quando se lo ritrovò davanti.
«Una casa tonda? Questa mi mancava!»
Dovette strappare qualche rampicante prima di riuscire a vedere un’asse di legno marcia che un tempo era stata la porta.
«Posso entrare?» sussurrò, e l’eco della sua voce gli fece capire che quella struttura era sprovvista di ogni tipo di arredo.
Quando si spostò dalla soglia, e la luce del sole occupò ogni angolo della catapecchia, il ragazzo si fece sfuggire un grido di terrore.
Davanti ai suoi occhi, un uomo, seduto su di una piccola sedia, lo scrutava con attenzione.
«Sei giunto da me, infine» disse.
Il giovane avrebbe voluto fuggire, ma la paura per l’improvvisa apparizione lo paralizzò. Riuscì solo a rantolare: «Chi siete?»
«Io sono Daronot, e attendevo il tuo arrivo da molto, molto tempo.»
«Il mio arrivo? Com’è possibile?»
Daronot si alzò dalla sedia e fece alcuni passi verso il ragazzo, il quale indietreggiò sino a posarsi contro la porta. «Cosa volete?» balbettò.
«Una nuova dimora!»
Di colpo, le edere che avevano ricoperto la dimora si ritrassero; le finestre si spalancarono, e il sole si fece prepotente sul volto d’alabastro del saggio. La terra tremò; gli occhi di Daronot si serrarono, e quando si riaprirono il nulla sovrastò ogni cosa, e il giovane piombò nell’oblio.
Quando riprese i sensi, si chiese se tutto quello che aveva appena vissuto non fosse stato altro che un sogno, ma si spaventò a tal punto che decise comunque di non tornare più a visitare quella piccola abitazione, e lasciò che il tempo cancellasse dalla sua mente il nome di Daronot.
Gli anni passarono; il fanciullo divenne uomo, e il suo nome, diventato sinonimo di grandezza, venne associato alla bellezza architettonica delle sue creazioni, e così non vi fu anima vivente che non avrebbe speso ogni denaro pur di vedere le sue ville e i suoi palazzi.
Un giorno, prima di abbandonarsi alla sua vecchiaia, decise di accettare la richiesta di due noti signori locali: «Vogliamo la villa più bella che abbiate mai pensato!»
Disegnò una villa magnifica; i clienti ne furono felici, ma lui no. Sarebbe stato il suo ultimo dono all’umanità e voleva realizzare qualcosa di indimenticabile.
Riprovò per mesi, ma ogni disegno che realizzava finiva ad alimentare la fiamma del suo camino.
Un dì, passeggiando per le colline del paese, si ritrovò in un luogo che non vedeva da sessant’anni, ma che riconobbe all’istante.
«La casa tonda,» si disse. «Possibile che sia sopravvissuta per tutto questo tempo?»
L’artista si fece coraggio e vi entrò. L’odore di legno bagnato lo fece vibrare di gioia. Amava le dimore antiche, quelle che sapevano di storia, e quella era la più suggestiva di tutte.
Di colpo, quando i suoi occhi si posarono su una sedia rovinata al suolo, la sua mente tornò a un vecchio sogno, quello del custode della collina.
Daronot.
«Mi disse che voleva una nuova casa.»
Si guardò attorno e capì che forse, per quanto potesse essere strana questa cosa, quello fatto sessant’anni prima non era un sogno. Forse quella era la sua vera missione, lo scopo della sua vita.
L’uomo, rinvigorito da quel pensiero, corse nel suo studio e passò la notte in bianco a disegnare; lo fece con gli occhi di un ragazzo che aveva ancora molto da donare ma che il tempo avrebbe spento presto.
Quando i due signori videro il progetto, ne rimasero sorpresi.
«Credevamo che foste il migliore, ma la verità è un’altra. Voi, signore, siete un vero genio!» disse l’uno.
«E diteci,» chiese l’altro, «come l’avete chiamata?»
Con un sorriso sornione, l’uomo esternò ai due signori le sue ultime volontà.
«Quella villa dovrà sorgere sulla cima della collina che si affaccia sul fiume, e il suo nome sarà Rotonda.»
L’uomo non riuscì a vedere compiuta la sua ultima opera; tuttavia, riuscì a esaudire il desiderio di Daronot, di colui che, dal principio, veglia da quella collina la sua amata Vicenza.
*
Non sappiamo quanto di questa leggenda sia verità o finzione, ciò che sappiamo è che noi tutti conosciamo il grande uomo che si nascondeva dietro gli occhi sagaci di quel ragazzo allegro, noi tutti conosciamo il nome di Andrea Palladio, il genio che ha colorato il Veneto con le sue ville.