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ESTRATTO CAPITOLO XL: GUERRA!



«Per le Terre Unite!»

Un corno squarciò la tensione, e il nostro esercito, gui­dato dal signore di Harenam, dalla regina di Meridies e dal so­vrintendente di Asli, iniziò la sua avanzata.

L’aria pesante mi appiccicava i capelli al volto. Do­vetti mollare le redini con una mano per sistemarmeli, e notai che tremavo. Era la mia prima vera battaglia, e l’ansia di fallire era al­ta, ma l’eccitazione di sfoderare i frutti dei duri addestramenti mi diede la forza di cancellare l’amaro ti­more.

Anche l’esercito nemico aveva iniziato a caricare verso di noi.

«Caleb, Seth!» esclamò Erik, galoppando al nostro fian­co. «Voi dovrete ricoprire il cielo e neutralizzare quanti più soldati.»

«Unite i vostri poteri», intervenne Esther. «L’aria e il fuoco sono due elementi che combinati diventereb­bero deva­stanti.» Poi, con un balzo atletico, lasciò libero il suo ca­vallo e si tramutò al volo nel lupo bianco.

“Non mi ci abituerò mai!”

«Ha ragione», disse Gin. «Andate e non risparmiatevi. Io coprirò la terra.»

Guardai Caleb e liberammo le ali dei nostri spiriti.

Da lassù potevamo vedere qualsiasi cosa, persino i due cavalieri che galoppavano dietro le truppe nemi­che.

«Guarda, Cal.» Indicai i nostri fratelli che retrocede­vano. «Sono fuori portata, quindi possiamo liberare la nostra potenza!»

«Seth, lo capisci che quei due sono nostri nemici?»

«Vinciamo la battaglia lasciandoli in vita», proposi in to­no quasi implorante. «Poi potrai avere la tua ven­detta.»

Non avevo nessuna intenzione di ferire mio fratello, piut­tosto avrei smesso di combattere.

«Come vuoi.» E senza aggiungere altro, colpì l’aria con le sue ali contro l’esercito nemico. Gli arcieri rivali ave­vano appena scoccato le prime frecce, ma l’attacco di Cal le ab­batté tutte.

«Bel colpo!» esclamai emulandolo, e dalle mie ali si stac­carono, come foglie, stralci infuocati che colpirono la fan­teria pesante. Eravamo molto in alto, eppure sentii le loro grida di do­lore.

«Visto?» domandai euforico.

«Dobbiamo continuare», mi ammonì Cal, serio, e con un se­condo colpo d’ali scaraventò diverse dozzine dei mer­cenari nemici contro le rocce.

Sotto di noi, le frecce dei nostri alleati iniziavano la loro picchiata e, spinte dal vento di Cal, sfrecciarono imper­cet­tibili sino a bloccarsi contro i corpi dei nostri avversari.

Non feci in tempo a vederli crollare che le bianche nubi che rivestivano il cielo diventarono scure come la pece e da sopra le nostre teste iniziarono a scaricare tutta la loro potenza con­tro l’esercito rivale. Era la prima volta che io e Cal combattevamo insieme a piena potenza, ed ero cer­to che avremmo presto chiuso il conflitto.

Generai qualche sfera scarlatta e la lanciai contro l’esercito nemico. Mi assicurati di colpire solo la ca­valleria, cosa che Cal non fece. I fulmini scintillanti folgorarono molti cavalieri e, a ma­lincuore, anche i loro animali.

«Gin non ti parlerà per anni», ridacchiai, ma lui gridò: «Attento Seth!».

Feci appena in tempo a tramutarmi interamente in fuoco che una pioggia di frecce mi trapassò senza la­sciarmi se­gni.

«Grazie!» esclamai affannato, con l’ansia di aver ri­schiato di finire come un manichino impagliato.

«Cavolo, concentrati.»

La distanza dei due eserciti si stava assottigliando sem­pre più, e pensai che fosse la nostra ultima pos­sibilità per sferrare un attacco devastante.

“Potrebbe essere stupido…”

«Cal, riesci a generare un tornado?»

Senza rispondere, Cal mosse le mani in senso circolare finché le nuvole sopra le teste dei malcapitati si ad­densa­rono; il vento diventò più potente e una spirale d’aria toccò il terreno, trascinandovi dentro gli arcieri.

Li guardai compiaciuto, ma il bello doveva ancora arri­vare.

Guardai in direzione delle Terre Oscure e vidi che i no­stri fratelli avevano raggiunto una postazione di si­curezza.

«Aumentala», tuonai, con le mani davanti al volto e le ali che sbattevano nella direzione del tornado per non farmi ri­succhiare.

Cal annuì, e il tornado raddoppiò, non solo di dimen­sione, ma anche di potenza.

“Adesso”, pensai, e mi lasciai trascinare con il timore di non rivedere mai più la luce del sole. “Bennu, proteggimi.”

«Seth!» gridò Cal, cercando di afferrarmi al volo.

«Al mio segnale, lascialo andare.»

«Quale segnale?» Le sue parole si persero nell’aria. Men­tre mi avvicinavo al tornado, sentivo il respiro venir meno e la forza del vento che mi impediva di aprire la bocca.

Respirai un’ultima volta col naso e, con un colpo d’ali, entrai in quella trappola polverosa e cupa.

Giravo, incontrollabile, proprio come l’ultima volta. Non vedevo nulla, avevo perso il senso dello spazio, e la polvere, tagliente come lame, mi colpiva ogni lembo di pelle.

“Perché l’ho fatto?” pensai senza riuscire a respirare.

Poi, una voce profonda mi disse: «Seth, lascia che sia io a guidarti».

Era Bennu, sentii il suo calore e la sua potenza, e im­prov­visamente mi sentii più sereno. Il cuore, che po­chi istanti prima sembrava esplodere, rallentò.

Una corrente d’aria mi spinse verso il basso, e fu in quel momento che sentii di nuovo lo spirito della Fenice: «Adesso, Seth!». E come se sapessi cosa stessi facendo, col­pii il tornado con l’ala, e un’accecante luce vermiglia mi ab­bagliò gli occhi ancora serrati.

Intontito e disorientato, mi sentii lanciare fuori dalla trap­pola d’aria. Tentai di riprendere il controllo, ma con­ti­nuavo a vorticare su me stesso, come se fossi an­cora dentro al ciclone.

“Ora mi schianto, ora mi schianto” pensai terrorizzato e, nel farlo, mi ricordai di tutti i miei amici e sperai con un nodo alla gola che Tom si sarebbe preso cura di Emily per sem­pre.

Provai a riaprire gli occhi per vedere dove stavo fi­nendo. Altro tentativo fallito. Tentai con un colpo d’ala di spingermi a terra per evi­tare di finire contro la parete rocciosa, ma stavo ancora ro­teando. Sperai che Cal riuscisse in qualche modo a fermarmi con il vento o, chissà, magari prendendomi al volo.

“Non respiro. Che morte stupida!”

Quando le speranze erano svanite, mi bloccai a testa in giù: qualcosa di delicato mi stringeva la vita. La frenata improvvisa mi fece sputare, e sentii la schiena flettersi, ma almeno ero tornato a respirare. «Grazie, Cal.»

Riaprii gli occhi, confuso e con le vertigini, e vidi che a stringermi non era Cal bensì una radice di Gi­ne­vra.

Ero a qualche decina di metri d’altezza quando la ra­dice, dopo avermi afferrato, iniziò a ritrarsi sino al terre­no e, con estrema deli­catezza, atterrai a qualche centinaio di metri dalla battaglia, al sicuro.

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