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Luce Oscura






Nel cuore dell'inferno del campo di concentramento di Dachau, mi adoperavo in silenzio, cercando tra la polvere qualcosa di commestibile per me e per i miei compagni.

La fame era insaziabile, e quel poco che trovavo lo avrei tenuto volentieri per me. Ma non potevo permettere all’avarizia di privarmi della mia umanità, e cercare del cibo anche per loro era la sola cosa che mi ricordava che fuori dai cancelli del campo c’era tutto un mondo.

«Guarda un po' chi abbiamo qui, il soldato italiano che cerca del cibo tra gli insetti.»

Alzai lo sguardo e intercettai quello di Hans Müller, un giovane soldato delle SS.

«Non hai nulla di meglio da fare che torturarci con la tua presenza?»

Lui rise. «Dato che ti piace tanto rovistare tra gli avanzi di cibo, ho un compito speciale per te» e indicò un punto non molto distante da noi. «Voglio che ripulisci la strada dai resti dagli escrementi dei cani.»

Impallidii. Quello era un compito riservato a pochi, uno dei peggiori dato che i cani del campo sbranavano i prigionieri più deboli, e quindi, tra le feci, si potevano trovare persino i resti di qualche amico.

Ma non concessi alcuna soddisfazione a Hans, non davanti ai miei compagni, mi alzai, afferrai il sacco che mi stava porgendo e raggiunsi il punto designato.

Iniziai a raccogliere i frammenti sparsi di vestiti, carne e ossa e feci. Ogni pezzo era una testimonianza crudele della violenza inflitta a esseri umani indifesi. Potevo sentire il peso dell'ingiustizia e della sofferenza che quelle vittime avevano subito. Ma allo stesso tempo, sentivo anche la fiamma della rabbia bruciarmi le vene.

Quando finalmente completai il mio compito, mi alzai lentamente e tornai dal mio carceriere. Il mio sguardo incontrò gli occhi degli ebrei, occhi che sembravano contenere una miscela di tristezza, rabbia e gratitudine.

«Hai trovato qualche amico?» sibilò Hans.

«Solo David» risposi, «e forse anche Samuel.»

L'atteggiamento di sfida che portavo con me sembrava scalfire la sua sicurezza, e questo mi dava la certezza che avrebbe riversato la sua rabbia contro di me, invece che contro qualche compagno.

«Italiano, sembra che tu sia più resistente di quanto pensassi. Ma non temere, ho ancora un compito per te.»

Mantenni lo sguardo fisso su Hans, preparandomi per l'ennesima prova di sopportazione che stava per venire.

«Vedi quella pila di massi là?» continuò, indicando un mucchio di pietre grezze all'orizzonte. «Voglio che li trasporti tutti qui, uno per uno, senza fermarti fino a che non avrai terminato.»

Il mio cuore affondò. Raccogliere frammenti di amici ti logorava la mente, ma trasportare pietre distruggeva un corpo già martoriato dal tempo, dalla fame e dalla sete.

Ammiccai, prima ad Hans, poi ami miei compagni. «Faccio presto, aspettatemi prima di uscire», e accompagnato dalle loro risate, iniziai a eseguire l’ennesima fatica.

Ogni passo sembrava un'impresa, ma il desiderio di resistere ad Hans, e a tutto ciò che rappresentava, mi spingeva avanti.

Le ore si susseguirono. Il sole implacabile mi bruciava le spalle e scaldava la dura pietra. Alcune vesciche mi si erano formate sulle mani, ma riuscii comunque a non dare soddisfazione al soldato, e col sole che tramontava oltre le colline secche, depositai l'ultimo masso accanto agli altri e mi sedetti al suolo.

Hans si avvicinò, serio. Mi rialzai, sollevai il pollice tremante e sorrisi.

Il suo volto si deformò. L’occhio destro fu colto da uno spasmo, mentre le mani iniziarono a grattarsi l’un l’altra.

«Vieni con me...» rantolò.

I miei compagni scossero la testa. Alcuni di essi fecero passi in avanti, ma io, con un cenno della mano, dissi di restare fermi e iniziai a muovere nuovi passi stanchi sino ai piedi di un albero antichissimo, vicino ai cancelli di ferro del campo.

Hans si voltò verso di me, mi guardò con occhi nuovi e disse: «Italiano, so che pensi che io sia solo un mostro, un nazista senza cuore. E in molti modi, forse hai ragione».

Eccome se ho ragione, viscido assassino.

«Io... ho perso qualcuno che amavo profondamente. Un amico d'infanzia. Eravamo inseparabili. Poi, solo perché cresciuto con una fede sbagliata, tutto è cambiato.»

La sua voce tremò leggermente, e la sua espressione si intenerì.

«Dopo essere entrato a far parte di questa macchina di terrore, mi è stato chiesto di fare cose che avrei preferito dimenticare, tra cui porre fine alle sofferenze di un giovane ebreo. Quel giorno, il mio migliore amico morì, e con esso la mia anima.»

Hans fece una pausa, guardando le radici dell'albero come se cercasse risposte nel terreno.

«Tu me lo hai appena ricordato, sai? Il mio amico. Nel tuo sguardo ho rivisto il suo, in te, mentre spostavi quei massi, ho rivisto la sua stessa forza, la sua determinazione e il suo coraggio di fare la cosa giusta.»

Cosa vuoi?

Hans mi affiancò e mi diede una pacca sulla spalla, poi raggiunse le guardie che pattugliavano i cancelli e gridò: «Attendetemi nelle caserme».

«Ma… Signore, non possiamo lasciare la posizione» balbettò uno dei due.

«Osi disobbedirmi? Tu sei solo una recluta, tanto piccola quanto inutile, e se non farai ciò che ti ho appena detto, non solo lascerai la tua postazione, ma verrai rispedito a casa, e mi assicurerò che tu, i tuoi familiari, e i tuoi eredi, non possiate nemmeno muovervi per la città di Berlino senza che qualcuno riconosca in vuoi la feccia che siete!»

Questo non rispose, s’inchinò e, gridando il nome di Hitler, seguì il suo compagno in direzione degli alloggi in legno marcio, e vi svanirono oltre.

Il volto di Hans si riammorbidì. Si massaggiò la mascella, infine tornò da me.

«Voglio che tu vada subito a chiamare i tuoi compagni e che ve ne andiate.»

«Non possiamo, ci ammazzerebbero subito» replicai.

«Prendila e difendi i tuoi amici.»

Guardai la pistola che mi stava porgendo, e la mia mente si raffigurò una scena che sognavo da più di un anno.

La mano iniziò a tremare, e più si avvicinava a quell’arma e più tremava, come stesse combattendo contro di me, contro la mia sete di vendetta.

«Sei migliore di me, Italiano, lo sei sempre stato. Non lasciare che la tua umanità si dissolva solo per uccidermi. Usa invece questo momento per salvare i tuoi amici e per darmi l’occasione di redimermi. Ti prego.»

I suoi occhi di ghiaccio si tinsero di rosso, e una lacrima bagnò il suo volto scarno.

Afferrai l’arma e la nascosi sotto la mia divisa a righe.

«Vieni con noi, se scoprono ciò che hai fatto, ti uccideranno.»

Lui scosse le spalle. «Italiano, se l’anima muore, è inutile che il corpo resti qui. Vai.»

«Grazie, Hans.»

Non dissi altro. Corsi come un folle agli alloggi e ordinai a tutti di seguirmi, e di non portare nulla con sé. Com’era ovvio, vollero sapere cosa stesse succedendo, ma non avevamo tempo da perdere, così gli dissi solo una cosa: «Siamo liberi».


***


La fuga fu dura, ma l'adrenalina e la speranza ci spingevano avanti nel buio della notte. Sembrava che una luce stesse iniziando a brillare all'orizzonte, dopo anni di oscurità insopportabile.

Tuttavia, sapevo che c'era una cosa che dovevo fare prima di lasciare quel luogo di sofferenza. Mi fermai e guardai indietro verso il campo, poi tornai indietro da solo. Attraversai il cancello, percorrendo i sentieri polverosi che avevano segnato la mia prigionia.

Davanti a me c'era Hans Müller, solo e vulnerabile. I suoi occhi incontrarono i miei e, nonostante tutto il male che aveva causato, parlai con una voce tremante:

«Ti ringrazio, Hans. È strano dirlo, ma hai dato a me e agli altri una possibilità di libertà che mai avremmo immaginato. Non so cosa ti abbia spinto a fare ciò che hai fatto, ma voglio che tu sappia una cosa.»

Levai la pistola e sparai.

Per alcuni secondi, il suo corpo rimase in equilibrio, poi si spezzò al suolo in un reboante rumore sordo.

«Per il resto della mia vita, i miei occhi vedranno le atrocità delle tue azioni.»

Restai lì, con la pistola che tremava tra le mani. Le lacrime mi scendevano sul viso mentre mi chinavo e sussurrai: «Addio, Hans Müller».

Mi allontanai dal campo, e portai con me la consapevolezza che, in pochi attimi, l’oscurità s’era arresa alla luce, e la luce era stata sconfitta dall’oscurità.


Andrea Riccardo Gasparoni


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